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chi vince le elezioni?

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Siamo un popolo a cui piace entrare in competizione su qualunque argomento. Abbiamo nel sangue la tentazione feudale dello schieramento con una parte contro l’altra o peggio con un padrone contro l’altro. Ma la democrazia è un’altra cosa.

La competizione, anche quella più “apparentemente” innocua, somiglia alla guerra. Inneggia allo scontro, descrive gli avversari come nemici da sconfiggere e denigrare, induce alla esaltazione in caso di vittoria e nei casi peggiori (oggi molto diffusi) arriva alla umiliazione degli sconfitti… per ingaggiare una prossima guerra.

E’ inutile e ozioso domandarsi come mai la nostra democrazia, fondata per trovare una forma di dialogo e di partecipazione allargata anche alle minoranze, sia invece diventata il terreno dello scontro più duro, senza esclusione di colpi.

Il governo di una Nazione, di una città e persino di un condominio o di una famiglia, non è cosa facile e si ottiene soltanto con la maturità e il buon senso che si esprimono nella “mediazione” e nella ricerca di equilibrio. Certamente non nella prepotenza e nella prevaricazione. La “forza del potere” e l’imposizione della “sottomissione dei vinti” produce solitudini, sospetti e complicità verso le cose più basse, mortificando i valori più alti e intossicando il vero ingrediente della società civile: la partecipazione.

Ma dialogare è impegnativo e andare d’accordo non è facile, anche se è indispensabile. Ma siccome è difficile e non conviene agli “stolti” perché vengono mascherati, si preferisce passare al confronto “muscolare”. E poiché il cervello non è un muscolo, viene messo da parte, per dare prevalenza alla forza pura dello scontro, dove conta chi urla di più, chi la spara più grossa, chi sa mascherare le proprie magagne, chi sa promettere senza l’impegno di mantenere, chi riesce insultare nel modo migliore, chi insinua… ecc.

Ma tra i muscoli ce n’è uno he frega tutti: il cuore. E a quello, come si dice, non si comanda. Quindi, anche gli scontri più aspri non riescono a decidere in modo definitivo le sorti di una contesa. Ci vuole sempre e comunque un accordo.

La questione non è nuova e già nel 1953 era stata affrontata dal nostro Parlamento dell’epoca che, vista la difficoltà di trovare una maggioranza di governo, a causa della solita contrapposizione tra le fazioni politiche, produsse una legge che (pensate) premiava, fino a concedere il 65% dei seggi, il partito o la coalizione che avesse ottenuto la metà più uno dei voti validi. Quella provvedimento, proposto dalla DC fu denominato “legge truffa” dall’opposizione comunista, portò allo scioglimento delle Camere e alla disfatta di De Gasperi.

Si trattava di una meccanismo “scorciatoia” che aveva lo scopo di evitare il dialogo con i rappresentanti politici in parlamento, consentendo alla forza che “vinceva” di potere governare “in solitaria”, senza il fastidio del confronto per trovare un’alleanza. Questo tentativo, nel 1953, fu giustamente bloccato (e pensare che il premio sarebbe andato a chi arrivava al 50%) perché considerato lesivo dei principi democratici del confronto e dell’alleanza.

A distanza di sessant’anni sembra che tutto si sia ribaltato. Piuttosto che mostrare buon senso e maturità, si vedono in giro leader che vivono promuovendo lo scontro e disegnandosi come vittime quando vengono scoperti in affari o situazioni poco nobili e forze politiche che pretendono di fare da sole pur senza la maggioranza per governare.

La democrazia, da strumento di partecipazione è diventata occasione di prevaricazione fino al punto da invocare una legge elettorale che premi uno su tutti, non importa come, così potrà governare da solo senza doversi confrontare con gli altri.

E le ultime elezioni hanno restituito leader tutti (mi si consenta) fuori dagli schemi della democrazia. Tutti orientati a volere comandare da soli, ma con il contributo degli altri. Insomma, una sorta di “dilemma del prigioniero”, nel quale non si fa un passo avanti senza un accordo, ma non si ha alcuna intenzione di accordarsi.

E poi c’è anche chi, con alto senso di “irresponsabilità” pur essendo stato eletto, considera la propria posizione come una villeggiatura: Non ha i numeri per governare, quindi non si cura di partecipare ad accordi.

E’ bene che tutti questi sappiano che il Parlamento non è il luogo delle vendette personali, né delle prove di “ego” ma il luogo “sacro” dei rappresentanti del Popolo a cui è affidato il compito di trovare una soluzione di governo nell’interesse del Paese. Perché la democrazia non si esprime con vincitori e vinti, ma con la capacità di trovare mediazioni tra tutte le rappresentanze, nel rispetto delle diversità che compongono il Paese.

E’ obbligo di ogni parlamentare essere all’altezza del proprio mandato trovando le soluzioni che possano assicurare una guida al Paese, anche rinunciando a interessi propri, a vendette personali o… a persone ingombranti di cui il Paese dovrebbe fare a meno.

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